Di Francesco Finocchiaro –
Dobbiamo guardare dentro il nostro orto per capire meglio il mondo intorno a noi.
Oggi la comunicazione determina le possibili mutazioni negli scenari politici, economici e sociali. Un lavoro di sottrazione e di emersione di fatti, episodi e notizie che – se opportunamente concertate – possono cambiare il corso delle cose, in un senso o nell’altro. La stampa ha sempre il dovere di raccontare, di spiegare, di presentare – attraverso una sintesi – i processi che si presentano sotto i nostri occhi.
I linguaggi utilizzati sono tanti e tante sono le modalità di espressione. Le declinazioni, le curvature, le sfumature di ogni notizia sono soggettivate culturalmente anche se spesso sono presentate come “verità” assolute. Forse sarebbe meglio chiamarle verità provvisorie. Ma qualche volta, in alcuni ambiti, la stampa è costretta a sostituirsi ai protagonisti del dibattito politico-culturale. Quasi con un’invasione di campo, costretti dai silenzi, dalle inadempienze, dalle contiguità. Un lavoro complicato e delicato, fatto di ricerche, di approfondimenti e di confronti. Per scavare la notizia, per trovare i documenti per analizzare uno scenario e raccontarlo alla comunità.
Ma questo lavoro infastidisce, risulta antipatico, irriverente.
Perché mette a nudo il “silenzio” e la mancanza di un metodo nell’esercizio della politica. Questo lavoro fa emergere i limiti, le mancanze, le carenze della politica da qualunque lato la si eserciti. Da chi governa a chi si oppone, da chi usufruisce dei silenzi a chi vive nel confort zone. Un po’ tutti percepiscono la stampa come fastidiosa, inopportuna specie se decide di raccontare tutto.
E allora non rimane che minacciare, sottobanco, telefonando ai direttori di giornale, diffamando i giornalisti, sminuendo i protagonisti della comunicazione con un’azione diffusa e profonda, ma sempre sotterranea, per non smentire la natura di questi personaggi che galleggiano invece di navigare. Si costruiscono persino leggende, possibili aspirazioni segrete, immaginifici obiettivi politici. Tutto per smentire la narrazione che fa male, che disturba, che imbarazza.
Alcuni giornalisti della comunità paternese – per esempio – sono oggetto di attacchi, di pressioni, di intimidazioni sul piano psicologico. Qualcuno vuole silenziarli, anestetizzarli per ricurvare a proprio piacimento. A chiunque faccia comunicazione a qualunque titolo in qualunque testata a tutte le scale. Invece di fare, di argomentare è più comodo indicarle il dito invece che la luna. Basta poco, basta solo insinuare un sospetto per sminuire un racconto giornalistico.
Ma siamo al paradosso, oggi la stampa è forse l’unica parte della società civile che denuncia le incongruenze locali, quasi a sostituirsi alla parte politica. L’unica che affonda la lama nelle notizie, che denuncia, che analizza e rileva, che esprime un’idea. Lo fa con molti linguaggi, come quello irriverente e satirico, come quello istituzionale della carta stampata, come quello delle piattaforme digitali. Poi ci sono quelli che denunciano solo questioni generali e mondiali per non dire cosa vedono sotto il loro naso, quelli che da dietro la siepe colpisco solo i bersagli lontani, per non far vedere il loro braccio. Quelli che vedono le mafie solo nella casa degli altri e non sentono la puzza del proprio frigo.
La politica si rimetta in marcia e si assuma la responsabilità delle proprie azioni, la finisca di minacciare e di condizionare.
Agisca, ognuno per i propri ruoli, con responsabilità. Alla fine della fiera la politica deve dare conto al suo elettorato se vuole continuare il percorso intrapreso. Meglio scendere in campo senza compromessi e contiguità. Tocca a loro trovare delibere e determina, tocca a loro trovare soluzioni e visioni, tocca a loro governare o fare opposizione, tocca a loro dire chi, cosa e perché. Non è compito della stampa ma se ciò avviene significa che c’è un corto circuito in atto, un ribaltamento di ruoli, e questo non è una cosa buona.
Ma la stampa prende atto di questa anomalia e difende la comunità.
Non c’è nessuna voglia si scendere in campo ma di sollecitare i protagonisti della politica ufficiale. Non c’è bisogno di tirare la giacca al principe, non c’è bisogno di tirare la giacca ai direttori di giornale, non c’è bisogno di fare le vittime pensando che le mancanze sono altrove e non a casa nostra. La stampa continua a fare il suo dovere, la politica della città si organizzi, evitando demagogie, furberie e “stracanacchi”. Si determini un programma per il futuro, si determini una squadra che lo interpreti e si scenda in piazza per incontrare la gente, ma quella vera, quella delle perifericità. Invece di giocare a nascondino o elevandosi a nobili, sempre innocenti. Tutti i politici in questa città hanno qualcosa da farsi perdonare. Tutti. Magari rompendo i legami con le incongruenze e le complicità amicali. La stampa è vigile ma vuole rimanere al suo posto, se qualcosa cambia, in caso contrario è capace di fare cosa inaspettate.
fonte Corriere Etneo