Non ha abolito la povertà e non ha spinto l’occupazione. In compenso ha riempito le tasche di ogni tipo di furfante. Dai mafiosi ai pregiudicati, dagli scippatori ai drogati, dai sequestratori agli evasori. Ma anche finti padri, falsi poveri, residenti all’estero, immigrati irregolari, lavoratori abusivi. L’elenco di quelli che hanno borseggiato le tasche pubbliche a spese dei contribuenti incassando ogni mese il reddito di cittadinanza è sterminato. Solo in cinque regioni del Sud (Campania, Puglia, Abruzzo, Molise e Basilicata) ne hanno scovati poco meno di 5mila, il 12% dei beneficiari sottoposti a controllo. Nel 2021, che non è ancora finito, su 156mila persone verificate ben 9.247 hanno percepito illegalmente il sussidio. Vi sembra poco? Se proviamo a trasferire questa quota sui 3,8 milioni di beneficiari, scopriamo che i soldi potrebbero aver preso la strada sbagliata circa 230mila volte.
È in questo scenario che il governo, impegnato su altri fronti a centellinare le risorse, si prepara a sborsare, dal prossimo anno in poi, un altro miliardo per rimpinguare un po’ la dote dell’obolo elettorale grillino, facendola salire a circa 9 miliardi l’anno. Dopo i dati snocciolati dai carabinieri ha ancora senso proseguire su quella strada? I pentastellati, manco a dirlo, non hanno dubbi. Per Giuseppe Conte il fatto che ci siano stati degli abusi non toglie che il reddito di cittadinanza sia «uno strumento irrinunciabile». Insomma, il principio del sussidio universale resta valido a prescindere. Per Luigi Di Maio, invece, è solo un problema di «messa a punto». Come tutti gli strumenti, ha spiegato, «bisogna fare il collaudo» e le misure messe in campo da Draghi sono «il primo tagliando».
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