Non è banale riaffermare che il diritto di satira è un figlio minore dello stato liberale. E non è inutile ribadire il valore, questo sì assoluto, della dialettica e del confronto più acceso, idoneo a raggiungere una verità necessariamente relativa e provvisoria. In questo contesto alla libertà di dissacrare ogni affermazione, soprattutto se viene dall’alto, dal potere, corrisponde una sorta di obbligo per ogni individuo di tollerare che anche le proprie convinzioni più intime subiscano questa stessa sorte. Più precisamente, l’ordinamento non deve fornire strumenti a chi voglia impedisce espressioni volte a mostrare il re nudo, che abbia la corona o meno. Ed è questo il punto che ci sembra più importante sottolineare, in particolare oggi: nella civiltà, per come la conosciamo, non soltanto il potere, ma anche il singolo deve ammettere la critica alle proprie credenze e ai proprie convinzioni, pure quelli che ritiene più sacre, e persino, entro certi limiti, l’irrisione e lo schermo.
Insomma, per dirla con George Orwell, se la libertà ha un senso, allora prima di tutte viene la libertà di dire agli altri ciò che essi non vogliono udire. In quest’ottica è proprio la voce dell’irriverente che la Costituzione e le leggi devono proteggere.