di Francesco Finocchiaro
La pausa estiva da sempre – a Paternò – è utile per avviare quelle riflessioni collettive di cui la città ha molto bisogno.
Non possiamo fare finta di nulla, il tappeto è colmo e le emergenze sempre più asfissianti sono diventate croniche e patologiche. Le uniche risorse disponibili sono state impegnate a “nascondere” quelle verità che straripano da tutti i lati e che hanno bisogno di soluzioni.
Il clima politico è già quello della campagna elettorale, potremmo essere chiamati alle urne prima della fine del mandato ordinario a causa di interventi “tempestosi” e ormai attesi da tutti. Non è detto, non è scontato e in tanti sono in ansia per questa eventualità, ma non si può aspettare certamente l’ultimo momento per definire le linee principali di un manifesto politico condiviso, per evitare le solite alchimie improvvisate e pasticciate.
Tra le vicende giudiziarie locali, i gossip romani e le incomprensibili scelte bipartisan del Consiglio comunale, impreziosite dalla creatività della Giunta comunale – ormai nelle mani della burocrazia secolare – non si riesce a vedere più l’orizzonte. E se qualcuno, in buona fede, cerca di raddrizzare il tiro non dimentichiamo che stiamo parlando di una nave che imbarca acqua da troppo tempo, che ha perso la bussola e che non ha più le vele. Meglio guardare oltre. Aspettando fatalmente l’epilogo sfortunato di questa storia recente.
Nel frattempo, è necessario che le forze laiche di questa città riflettano sui possibili scenari politici, riuscendo a produrre un atlante di bisogni, progetti e prospettive, assumendo la responsabilità di essere cittadini e non inutili spettatori di una guerra senza vincitori. Per uscire dalla logica di chi si limita a “scommettere” sul cavallo vincente (spesso anche su entrambi) o peggio ancora di quelli che rimangono tifosi per sempre come bambini, affezionati ai ricordi o avvinghiati agli interessi.
Oggi più che mai è necessario costruire uno spazio comune di confronto per approfondire i temi necessari a generare un nuovo manifesto che possa impegnare la politica nell’azione di governo della città, seguendo una direzione compatibile e sostenibile rispetto alle nostre regalie potenzialità per valorizzare le nostre risorse culturali e territoriali. Per uscire dall’improvvisazione, dalla colonizzazione e dall’isolamento che ci ha caratterizzato negli ultimi trent’anni.
Abbiamo bisogno di riflettere sulla nostra MEMORIA, su cosa vogliamo fare della nostra storia, dei nostri monumenti e del paesaggio storico della città. Rilanciando i temi della ricerca storica e archeologica, del riuso del patrimonio immobiliare, della rigenerazione organica della città, della creazione nuovi strumenti di governo per valorizzare i tesori materiali e immateriali che puntellano il territorio, per “aggiustare” il paesaggio che sembra quasi una pattumiera.
Non possiamo sottovalutare la necessità di ricercare forme, azioni e strumenti per il raggiungimento del BENESSERE collettivo. Puntando alla qualità dell’aria, alla mitigazione dei cambiamenti climatici, alla riforestazione e rinaturalizzazione del territorio, guardando con attenzione l’emergenza idrica. “Curare e custodire la terra” – dice Papa Francesco – significa anche questo.
È necessario completare e rilanciare il tema delle CONNESSIONE. Non basta aspettare passivamente la chimera della Metropolitana, come fosse un miracolo inatteso che scende dal cielo. Bisogna pensare a un territorio urbano e rurale collegato in rete con l’armatura di sistema, territoriale e geografico. Pensare a nuove forme di mobilità dolce in città, per gli anziani, per i giovani per i turisti. Non solo piste ciclabili propaganda ma un vero e proprio sistema di mobilità che colleghi le polarità risorsa: acropoli, parchi, edifici pubblici, stazioni della metropolitana.
La città ha bisogno di guardarsi dentro e uscire dall’ipocrisia di una SOLIDARIETÀ di facciata. Emigrati, stanziali e stagionali sono il lato B della nostra società, il relitto umano a cui ogni tanto offriamo una briciola. Fragilità umane che trovano casa anche all’interno del nostro tessuto sociale, spesso strumentalizzati e usati. Ma significa anche pensare agli anziani e ai giovani che sono privati di ogni possibile orizzonte felice, perché mancano le biblioteche di quartiere, gli spazi per lo sport diffuso, le piazze per socializzare e le occasioni per rendersi utili. Al netto delle sceneggiature che vanno in onda per le feste comandate.
Ma questa comunità deve andare oltre e pensare a nuovi modelli di sviluppo economico per puntare alle filiere agricole, artigianali, turistiche e industriali per avviare una PRODUZIONE nuova di reddito. Attenta alle vere vocazioni, impegnata a sostenere le filiere con le infrastrutturazioni del territorio rurale e industriale, con la gestione delle energie, sempre con attenzione all’economia circolare e solidare.
Ma i temi della memoria, del benessere, della connessione, della solidarietà e della produzione, questi cinque punti hanno bisogno di confronto, di un approccio multidisciplinare, di una visione di sistema e di una precisa rotta da perseguire. Indipendentemente dalla parte politica dominante. Un impegno di tutti per tutti. Credo che per creare tutto questo, per definire questo manifesto serve l’esperienza della “Pastorale Sociale” come esperienza di partenza e la volontà di “incontrarsi” magari in un luogo iconico e laico, aperto e trasversale, carico di significati e di orizzonti. Il sagrato della chiesa di Santa Maria dell’Alto è candidato a essere il punto di partenza di questa possibile esperienza. Bisogna lavorare in questo senso per condividere, per formare, per curvare, per progettare il futuro di questa città. Insieme. Il laicismo politico trasversale può fare la sua parte evitando che i lobbismi e il perbenismo – che hanno incancrenito ogni cosa – prevalgano sulla “Ragione”.