La sfida di oggi è formare la classe dirigente di domani, di operare per forgiare le nuove istanze che si affacciano, perché si dedichino all’arte di governare, così da influire e condizionare il governo cittadino recuperando la cultura ed educare alla DEMOCRAZIA. Senza condizionamenti derivanti da calcoli del consenso elettorale, tagliando e ricucendo gli strappi doverosi che devono essere fatti.
Ogni cittadino ha le proprie responsabilità, per le posizioni ricoperte, per il ruolo che esercita nella comunità nella quale vive, lavora e opera. Non vi sono più alibi, non vi è più tempo, bisogna agire con determinazione per evitare che l’incancrenire ed il cronicizzare della situazione di imbarbarimento, con gestioni inconcludenti e inefficaci, crei perennemente la società dei bruti.
Questa deriva sociale, già intrapresa, è costruita su due fenomeni estremamente pericolosi: l’apatia come rinuncia del cittadino ad usare il proprio diritto di cittadinanza, che porta all’astensione del diritto di scegliere e lasciato solo allo “scambio” interessato che fa perdere il fine, l’interesse cui deve tendere una società matura. Questa democrazia per assuefazione (“tantu su tutti i stissi”) può portare la società alla noia, alla nausea, al rigetto, a quel fenomeno, non meno pericoloso, che è l’antipolitica o peggio il populismo, che esalta valori demagogici e negativi.
Educare alla politica è partecipare. Evitare che qualcun altro scelga per te, risponde ad una necessità sociale, affinché la società possa essere composta ed avvalersi di cittadini capaci di esercitare l’amministrazione in modo critico ed autonomo, secondo un progetto di uomo e di donna preciso. Progetto che nasce dal mettere l’uomo e la donna al centro, soggetto-oggetto della domanda politica, in un continuo, costruttivo rapporto tra bene comune e bene individuale.
Astenersi, allontanarsi dal partecipare, non serve per poi domani lamentarsi che le cose vanno male. Dipende solo da noi. Questa è la sfida.
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