di Francesco Finocchiaro –
Scricchiola l’ordine pubblico in città, tra risse e disordini.
Questo è il quadro che emerge dalle recenti dichiarazioni alla stampa. Il dito è puntato verso la comunità di extracomunitari e non solo; lavoratori senza fissa dimora, spesso accampati in campagna o in città, dentro alloggi di fortuna: occupati, subaffittati; comunque, in condizioni igieniche poco dignitose.
La Caritas locale compie già un lavoro importante ma non basta. La prefettura di Catania ha già definito un “modus operandi” da seguire ma non si vedono le conseguenti azioni operative sul territorio. C’è la sensazione che dopo l’emergenza di qualche mese fa tutto tace, in attesa del prossimo caso eclatante: una rissa, un incidente, o peggio ancora.
Una passività silenziosa che non rassicura sul futuro. Un terreno di confronto tra le forze politiche che non trova spazio nelle rispettive agende se non per l’iniziativa dei singoli. L’ennesima occasione perduta per riflettere su un tema complesso che meriterebbe un approfondimento più ampio, con ricadute importanti sul piano socioeconomico. Una passività che impedisce di pianificare le azioni più utili per mitigare o canalizzare la criticità ciclica emersa.
I temi da approfondire sono certamente quelli legati alle anomalie del mercato del lavoro (caporalato), all’emergenza abitativa e alla mancata integrazione culturale e sociale. Tre questioni aperte a cui nessuno riesce a dare risposte al netto delle possibili rivendicazioni ideologiche, sbandierate, sulla carta, da tutte le forse politiche cittadine.
Lavoro, casa e società, che poi sono i temi critici, presenti anche nella città ordinaria, quella che crede di essere “comunitaria” ma che vive in un ambiente privo dei servizi essenziali, di quelle opportunità che sono accessibili – normalmente – ai cittadini europei. La città vive evidentemente una forte depressione economica, un degrado urbano e sociale e le rappresentazioni che “qualcuno” propone sono ormai prive di realismo.
C’è un evidente scollamento tra le azioni intraprese sul piano degliinvestimenti strutturali e infrastrutturali in città e le reali necessità. Azioni estemporanee che seguono, più l’interesse parziale che quello globale. I fondi del PNRR sono utilizzati fuori da una pianificazione complessiva, lontani da una visione generale che avrebbe dovuto avere come obiettivo la rigenerazione della città. Affrontare i problemi come fossero unici e circoscritti – figli della logica del recinto – non aiuta alla loro risoluzione. I migranti sono solo una parte, del più ampio problema che facciamo finta di non vedere che è la depressione urbana, lo scollamento della città dalla rete sistemica metropolitana (politica, economica, culturale e sociale), la perdita di competitività, il degrado del patrimonio immobiliare e culturale, la desertificazione del tessuto economico e sociale. Persino per i migranti siamo solo una terra di passaggio.
La mancanza di uno strumento di pianificazione e programmazione (PUG), di azioni coordinate sul piano degli investimenti, di credibilità politico-amministrativa, di coesione sociale, di condivisione culturalee soprattutto la mancanza di un confronto dialettico, aperto e democratico, tra le parti, costituisce una grave mancanza nel processo di riallineamento tra questa città e il resto del mondo. C’è un evidente scollamento tra le istituzioni, tra le parti sociali che impedisce le opportune analisi critiche a tutto vantaggio della cultura autoreferenziale e personale che ha la necessità di disegnare una città surreale, per nascondere la sua vera malattia.
Bisogna praticare la bellezza, analizzare le complessità e combattere i superficialismi. Mettere da parte gli improvvisatori e gli stregoni. Ripartire dalla logica e dal buon senso. I migranti non sono l’infezione ma la febbre di una malattia più grave che nascondiamo ormai da anni. Che ci rifiutiamo di affrontare, nascondendo ogni cosa con ideologie costruite ad hoc. Siamo stati una terra di integrazione, da secoli. Abbiamo accolto, valorizzato e tutelato le diversità culturali e ambientali da sempre; adesso ci scopriamo quasi “razzisti”. Non dobbiamo lavorare per contrapposizione ma per integrazione. Apartire da un piano di rigenerazione del patrimonio immobiliare abbandonato e degradato. Valorizzando gli anfratti urbani, gli scarti, i relitti, dentro il centro storico o nelle periferie. Finanziare piccoli spazi da dedicare allo sport e alla socialità, illuminando, cablando, pavimentando, piantumando.
È indispensabile, a questo punto, costruire e condividere un’agendapolitica comune, per individuare i temi emergenti da risolvere e definire le possibili strategie attuative. Ascoltando le parti che compongono la città. Se non vogliamo parlare solo di risse in piazza, della metropolitana che verrà e delle tempeste annunciate, come fossimo quattro amici al bar.