Il pentito Mutolo: “Le scarcerazioni dei boss mafiosi sono una vergogna. Lo Stato ha perso, ma non adesso. Ha perso tempo fa, quando ha avviato la trattativa con Cosa nostra che continua tuttora”. A parlare, in una intervista esclusiva all’Adnkronos realizzata da Elvira Terranova, è lo storico pentito di mafia Gaspare Mutolo. Ex picciotto di Cosa nostra, ventidue omicidi, guardaspalle del boss palermitano Rosario Riccobono, killer ed autista del capo dei capi corleonese, il sanguinario Totò Riina. Fino al 1991, quando decide di collaborare con i giudici Giovanni Falcone prima e Paolo Borsellino dopo. Dalla sua residenza segreta, dove vive sotto protezione, Gaspare Mutolo parla delle polemiche sulle scarcerazioni dei boss mafiosi e di altri detenuti di ‘rango’.
Il boss amico di Mutolo finito ai domiciliari
“Conosco bene uno dei boss finito ai domiciliari, Francesco Bonura, perché eravamo amici– racconta Gaspare Mutolo – E’ una persona per bene, ma, mi dispiace dire che è sempre un mafioso… Anche ai domiciliari”. “Hanno fatto uscire centinaia di boss e altri detenuti per l’emergenza coronavirus ed è assurdo perché è molto più probabile essere contagiati dai propri familiari che in isolamento – dice Mutolo – Il paradosso è che noi dobbiamo stare a casa e quelli che stavano al 41 bis, cioè in teoria al carcere duro, che erano completamente riparati dal pericolo, possono lasciare la cella”.
“E’ inutile che adesso il ministro della Giustizia Bonafede annunci in pompa magna che li vuole fare ritornare in carcere. Ormai sono fuori. I buoi sono scappati dal recinto. Ci vorrebbe forse una legge ad hoc, come fecero Andreotti e Martelli tanti anni fa. Ma, in ogni caso, è una buffonata”. Sulle polemiche politiche di questi giorni, l’ex boss dice: “Mi sembra giusto, ripeto, è assurdo fare uscire 376 tra mafiosi e altri detenuti, perché potrebbero tornare a delinquere”. E parla ancora di Francesco Bonura, importante boss mafioso che ha lasciato il carcere per problemi di salute. E oggi è ai domiciliari a Palermo. “Eravamo amici negli anni Settanta, è una persona per bene. Fino a quando ho collaborato, nel 1991, stavo con lui e altri come lui. Mi ricorsi che siamo stati insieme in carcere nel 1986 a Trapani. Insomma, ripeto, è un gran signore ma sempre mafioso è…”.
La mafia ha seguito la linea di Provenzano, non fare rumore e acquistare potere
Bonura, come ricorda Mutolo, faceva parte dell’ala di “Totò Riina. Ma erano altri tempi, ora la mafia ha cambiato pelo. Bisogna dire le cose come stanno. Ormai la mafia ha seguito quella linea di Bernardo Provenzano, quando a un certo punto disse e diede ordine di non fare rumore. In questo modo la mafia ha acquistato potere. Sì, è vero, vengono arrestati alcuni mafiosi ma sono quelli di basso rango, mica i vertici. Quelli sono tranquilli. Perché hanno capito che non conviene. Riina invece aveva rovinato tutto con la sua strategia di sangue, di terrore, di morte anche di innocenti. Ecco perché io ne sono uscito nel 1991, non mi riconoscevo più in Cosa nostra”.
“E sono contento di quello che ho fatto – dice – Io ho ripudiato Cosa nostra e ho cambiato pelle, però in quel periodo la mafia commetteva delle atrocità, ma era Riina il malefico. Mi dispiace dire queste cose, perché Riina a me ha salvato la vita, eravamo amici, mi ha fatto entrare in cosa nostra. Ma non posso dimenticare che ha distrutto Cosa nostra. E’ uscito pazzo, ha ucciso anche suoi parenti”.
Io non ho paura
E ancora sulle scarcerazioni: “Non sono assolutamente preoccupato. Io non ho paura. Nella vita io ho avuto un alleato che è stata la pittura, mi ha dato quel modo di stare isolato, tranquillo. Prima di collaborare avevo imputazione di stragi, omicidi associazione mafiosa. Ho fatto 28 anni di galera, e tutti mi rispettavano perché c’erano i mafiosi buoni e quelli cattivi. E Riina ha incattivito tutti”.
Trattativa Stato-Mafia
Poi spiega che a suo avviso le scarcerazioni “fanno parte della trattativa tra Stato e mafia”. “E’ stata la prima cosa che ho pensato quando ho letto delle scarcerazioni dei boss – spiega – che ci potevano essere ancora quei patti anche se fatti in ritardo. Basti pensare a quello che sta facendo Giuseppe Graviano dal carcere. Lancia segnali con le sue dichiarazioni nel processo di Reggio Calabria. Prima non sarebbe stato immaginabile”. “Fa tutto parte della stessa strategia – spiega ancora lo storico collaboratore di giustizia – la trattativa tra Stato e mafia non è mai finita. Vedrete…”.
fonte Adnkronos
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