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Fidelity card: il “fascino” magnetico delle correnti di Carmen Giuffrida – Magistrato

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Abbiamo assistito a pubblicazioni a raffica di numerosissime intercettazioni tra Palamara e diversi magistrati che chiedevano posti per sè o per altri, che discutevano di come manovrare indagini e processi, di come punire colleghi con azioni disciplinari a mero scopo di vendetta; il tutto allegramente condito da una prosa che, in confronto, gli scaricatori di porto sono delle educande (con tutto il rispetto per gli scaricatori di porto ma, si sa, è un modo di dire).
Per non citare poi frasi a dir poco ambigue, del tipo: “è grande sodale di Palamara”;”è boss di MI” o, ancora, “MI porta mio fratello”; insomma frasi che sino ad ora avevo visto utilizzare soltanto nei procedimenti per associazione mafiosa.

A fronte di tutto ciò, immagino che il cittadino comune si aspettasse una reazione energica da parte di tutto il resto della magistratura, ovverosia di tutti coloro che non hanno mai chiesto, non sono stati intercettati, o comunque non hanno avuto nessuno di questi posti di rilievo.

Eppure, ad eccezione di qualche voce isolata, la maggioranza dei magistrati è rimasta silente, quando non è addirittura intervenuta a difesa della “multi-culturalità'” delle correnti, valore che pare abbia assai maggior importanza del disvalore emerso.

Il tentativo malcelato è quello di far passare la tesi che solo gli intercettati abbiano effettivamente chiesto qualcosa a Palamara; che in fondo si trattasse di mere richieste di informazioni o tentativi di garantire comunque la scelta del migliore (in base evidentemente a criteri meta-oggettivi), e, infine, che questo Palamara fosse l’artefice di tutto, una sorta di re Mida della magistratura, al punto che si è arrivati a parlare di un sistema pre-Palamara e uno post-Palamara.

Ma la verità è un’altra: non esiste alcun sistema pre-Palamara e post-Palamara.

Esiste solo un sistema marcio ormai da tempo, certamente da quando ho fatto ingresso in magistratura più di 20 anni fa. Posso spiegarvi le ragioni di questa mia affermazione in poche parole.

Avete presente le tessere di fidelizzazione che vi danno al supermercato? 

Ecco, le correnti che governano la magistratura funzionano più o meno così. 

Sin dall’ingresso in magistratura si avvicinano e cercano di fidelizzare il cliente, cioè il magistrato. 

Ebbene sì, si tratta di un vero e proprio programma di fidelizzazione, perché quel magistrato è proprio destinato a diventare un cliente per “l’acquisto” di qualunque prodotto: per ottenere di andare in valutazione prima degli altri o comunque di non andarci dopo gli altri; per ottenere un parere che sia un po’ migliore degli altri; per essere trasferito a Roma al Ministero, non potendosi altrimenti ottenere un avvicinamento a casa prima di un tot numero di anni; per ottenere un posto direttivo o semi-direttivo nelle procure e nei tribunali; per gestire un progetto all’estero; per fare il magistrato di collegamento, insomma per qualunque miglioramento della propria situazione lavorativa bisogna essere dotati di questa tessera.

Non immaginatevi però che sia necessario iscriversi ad una corrente, e dunque ottenere materialmente la tessera.

E’ sufficiente esservi fedele. 


Le regole basilari sono due: votare sempre e comunque per il candidato che la corrente intende far eleggere, a prescindere da chi si tratti, in occasione di qualunque votazione, da quella per il consiglio giudiziario a quella del Consiglio Superiore della Magistratura, e accettare supinamente le regole del gioco. 

Che significa? 

Significa che il cliente è ben consapevole che a volte dovrà pure subire dei torti, ad esempio si vedrà passare avanti un collega di un’altra corrente per un posto semi-direttivo. Ma questo fa parte delle regole del gioco. 

Ogni corrente vive di accordi con le altre correnti: un posto a me, uno a te , una a lui, proprio come nel gioco delle carte.

I magistrati fidelizzati si mettono in fila e attendono pazientemente il loro turno.

Quindi, in verità, costoro non sono fidelizzati alla corrente ma fidelizzati al sistema.

Ecco perché non sempre è necessaria una telefonata per il posto. 

A volte si tratta di un “bonus” concesso alla fine di un periodo di servigi resi alla corrente, a cominciare dal voto, passando per l’attività di proselitismo per il proprio gruppo di riferimento, e finendo con l’accettazione supina del “patto di non aggressione” tra le correnti che, con equilibri che, a volte, fanno pendere l’ago della bilancia per l’una piuttosto che per l’altra e viceversa, in generale riescono a spartirsi la torta equamente.

Poi può anche capitare che qualcuno dei fidelizzati rimanga a bocca asciutta o ottenga meno di quello che si aspettava ed allora magari trova il coraggio per criticare il sistema, ma solitamente lo fa dopo essere andato in pensione. 


In un contesto come quello che ho descritto il magistrato in servizio che non si allinea ma non  si lamenta è al più tollerato, il magistrato che, rimanendo in servizio, protesta e denuncia è invece il nemico. A lui/lei vanno “spezzate le gambe“.

E come? Beh,  dipende da quanto il magistrato libero pensatore esprima liberamente il proprio pensiero.

Ecco allora che la punizione può essere un semplice “discreto” sul parere per la valutazione di professionalità, un parere negativo per il mutamento di funzione, un diniego di partecipare ad un progetto di gemellaggio o ad una commissione come esperto, sebbene il suo curriculum valga cento volte più dei prescelti, l’impossibilità di ottenere un posto semi-direttivo o direttivo anche in presenza di sentenze del Consiglio di Stato che cassano più volte l’operato del CSM o addirittura l’esercizio dell’azione disciplinare nei confronti del dissidente.

A tutto questo il Ministro di Giustizia avrebbe potuto dire BASTA.

Lo avrebbe potuto fare introducendo il sorteggio per la nomina dei Consiglieri del CSM, lo avrebbe potuto fare introducendo la rotazione negli incarichi direttivi e semi-direttivi. 

Eppure, ancora una volta, il ministro ha fatto marcia indietro con una proposta di legge che “gattopardescamente” cambia il sistema affinché il sistema non cambi. 

Perché la verità è che non conviene a nessuno cambiarlo.

Una magistratura che funziona (o meglio, che non funziona) in questo modo è una specie di asso pigliatutto per i politici di turno, è il modo migliore per piazzare “gli uomini giusti” al “posto giusto” ed è un modo per tenerla sempre sotto scacco. 

Per cui, chiunque sia al governo si prende tutto, quando subentrerà il prossimo si vedrà.

Viva l’Italia e la sua lungimiranza.


qtsicilia@gmail.com