di Antonio Socci
I nodi del governo stanno venendo al pettine e il nodo principale è «l’anomalia Conte» (come ebbe a dire la renziana Bellanova). Il 23 maggio 2018 Giuseppe Conte, ricevendo l’incarico di formare l’esecutivo M5S-Lega, disse: «Sarà il governo del cambiamento”. Invece nel 2019 ha realizzato il cambiamento del governo restando premier: un presidente del Consiglio che succede a se stesso, capovolgendo la sua maggioranza, è un caso unico nella storia d’Italia.
È stato possibile perché Conte non è un politico, uno statista, non si è mai presentato alle elezioni con una bandiera e un programma, non ha (o almeno non ha mai esposto) una sua visione del Paese o del mondo, non ha identità ideologica. Non ha avuto neanche precedenti impegni pubblici e non ha rivestito ruoli istituzionali (come Ciampi o Dini o Monti o Draghi) così da reincarnare la figura del tecnico. Conte – secondo lo storico Ernesto Galli della Loggia – «è un signore assolutamente sconosciuto» che d’improvviso diventa premier, ma che «non rappresenta niente e nessuno».
Fu chiamato proprio perché era la scelta più anonima e la meno ingombrante per Lega e M5S del 2018 (del resto non è neanche iscritto al M5S). Per questo Galli della Loggia lo ha definito «il trionfo dell’anomalia politica italiana, un’anomalia assurda». Della sua debolezza Conte ha fatto un punto di forza quando, con astuzia – dopo essere arrivato a Palazzo Chigi (anche) grazie a Salvini – nell’agosto 2019 colse l’occasione di interpretare l’AntiSalvini per accreditarsi col Pd, cosicché ha potuto presiedere di seguito due governi contrapposti. Secondo Galli potrebbe presiedere indifferentemente governi con qualunque maggioranza.
UOMO PER TUTTE LE STAGIONI
C’è un noto aforisma di Groucho Marx: «Questi sono i miei principi e se non vi piacciono ne ho altri». Lo stesso può dire Conte delle sue idee. Era, ad esempio, per i decreti sicurezza di Salvini da premier del governo gialloverde, ed è stato contro da premier del governo col Pd. Prima li ha emanati e poi li ha cancellati. Conte non caratterizza politicamente un governo, come gli altri premier: lui è il punto di mediazione neutro delle forze al potere. Non è il contenuto, ma il contenitore.
Somiglia al protagonista del “Cavaliere inesistente” di Italo Calvino. Agilulfo di fatto è solo una lucida armatura. Quell’armatura può essere indossata da qualunque coalizione di governo, purché sia presieduto da lui che si identifica proprio con l’armatura stessa, con quella funzione. È l’uomo per tutte le stagioni. Perciò il suo metodo è stato quello del “Conte zio” dei “Promessi sposi” (come notò Marcello Veneziani): «Sopire, troncare, troncare, sopire» perché «quest’ urti, queste picche, principiano talvolta da una bagatella, e vanno avanti, vanno avanti…». Anche il linguaggio del Conte Peppino, come quello del Conte Zio, è «un parlare ambiguo, un tacere significativo, un restare a mezzo, uno stringer d’occhi che esprimeva: non posso parlare». Il suo ruolo ricorda quello dell’ovatta messa negli imballaggi per evitare gli urti. Conte smussa gli spigoli, frena e garantisce gli equilibri. Si diceva: nel momento in cui non potesse più mediare andrebbe in cortocircuito. Oggi quel momento sembra arrivato.
La scaltrezza di Matteo Renzi è stata precisamente questa: rendergli impossibile la mediazione ponendo il problema che riguarda lui stesso, cioè l’esagerato accentramento dei poteri, la mancanza di leadership, di visione strategica e di vigore (in effetti il governo sembra in catalessi, mentre il Paese vive mesi drammatici) e poi questioni come il Mes sanitario su cui Conte non ha margini di manovra. Ma il grande equilibrista potrebbe riuscire anche stavolta a mediare, magari cedendo su tutto pur di restare a Palazzo Chigi (durante l’emergenza Covid ha concentrato nelle sue mani molto potere). Perché Conte ha una sola opzione, una scelta obbligata: restare ad ogni costo a Palazzo Chigi, o come Capo di un qualsivoglia governo o come premier che guida il Paese alle elezioni dove potrebbe presentarsi con una sua lista (o come candidato premier di Pd-M5S) e così capitalizzare questi mesi di visibilità.
NEL DIMENTICATOIO
Se dovesse lasciare Palazzo Chigi, col formarsi di un altro esecutivo, secondo molti cadrebbe subito nel dimenticatoio, concludendo la sua vicenda politica. Non possiede quel “piano B” di cui invece dispone qualunque leader politico che ha dietro di sé un partito e che comunque rappresenta un’idea e che può andare in panchina per un po’ per giocarsi in seguito una seconda chance. Così ora c’è un “Premier per caso” che non vuole lasciare Palazzo Chigi e che – comunque si valuti la sua performance da Capo del governo (come un successo o come un disastro) – appare a tutti inadeguato di fronte al compito immane che aspetta l’Italia. Tutto questo aggrava la paralisi del governo nel momento più drammatico del nostro Paese. Un governo incapace che sopravvive a se stesso. Qualunque cosa si pensi di Renzi, rimettere al centro il Paese e i suoi problemi è fondamentale. Una crisi di governo dovrebbe servire proprio a questo.
qtsicilia@gmail.com