di Turi Maurici
È recente la notizia del futuro completamento del tratto di Metropolitana FCE da Misterbianco a Paternò mediante risorse del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. I lavori dovrebbero prendere avvio già nel 2022 per essere ultimati nel 2026. Si tratta di un investimento importante di risorse pubbliche: 317 milioni di euro, in aggiunta ai 115 già stanziati per la tratta Misterbianco-Belpasso. Tale investimento consentirà di rinsaldare il collegamento tra il polo metropolitano e i Comuni che si attestano tra il versante sud-occidentale dell’Etna e la Valle del Fiume Simeto.
Questa notizia ha generato soddisfazione espressa variamente a mezzo stampa nei contesti dei Comuni interessati: soddisfazione condivisibile da vari punti di vista. La Metro offre infatti modalità di spostamento agili e sostenibili, in linea con le finalità dell’Agenda 2030 delle Nazione Unite. Il trasporto collettivo su ferro consente non soltanto di contribuire a raggiungere obiettivi di sostenibilità ambientale, grazie per esempio alla riduzione di emissioni di CO2 rispetto al trasporto privato su automobile. Essa rappresenta anche un mezzo di trasporto alla portata di tutti coerente con il perseguimento di obiettivi di sostenibilità sociale ed economica.
La Metro favorisce scambi celeri per un ampio bacino d’utenza, “liberando” inoltre i tempi degli spostamenti per compiere attività che ben si prestano al viaggio su un treno: si pensi alla possibilità di leggere un buon libro o ascoltare della musica mentre la vettura si muove da un punto all’altro del tragitto.
Il biglietto di andata verso il polo metropolitano di Catania offre importanti vantaggi di diversa natura. Da un lato, la Metro consentirà un rapido accesso ai luoghi della cultura assenti nelle piccole e medie città, tra cui per esempio diversi Dipartimenti universitari che, in tempi non pandemici, oltre a erogare didattica e svolgere ricerca, aprono le proprie porte in occasione di momenti di arricchimento e crescita per la collettività tutta (si pensi alle conferenze pubbliche).
Inoltre, sempre in tempi non pandemici, Catania offre opportunità legate alla presenza di una fascia costiera attrattiva, di un centro storico vivace fino a tarda notte (l’ormai nota movida catanese), ma anche opportunità legate alla salute e alla medicina specialistica e, in generale, è dotata di una differenziazione dei servizi che non trova ancora declinazione simile nei Comuni limitrofi. La configurazione stessa di polo metropolitano implica una concentrazione non solamente di un’offerta differenziata e ampia di servizi socio-sanitari, culturali, luoghi per il tempo libero e lo sport, ma anche di varie attività economiche e amministrative assenti altrove. Tutto questo rende Catania attrattiva per diverse fasce della popolazione: giovani in cerca di svago, adulti in cerca di prodotti e attività funzionali allo sviluppo di diversi settori lavorativi e imprenditoriali, anziani e soggetti fragili che necessitano di prestazioni socio-sanitarie specialistiche e, più in generale, persone in cerca di opportunità di realizzazione delle proprie aspirazioni.
Tuttavia, quanto sin qui considerato vantaggio potrebbe rivelarsi invece un’arma a doppio taglio, portando alla definitiva desertificazione umana dei territori interni. Se infatti, contestualmente alle infrastrutture per la mobilità intercomunale, non si potenziano le infrastrutture per la socializzazione intra-comunale nelle piccole e medie città lambite dalla tratta, nonché per la promozione delle peculiarità locali, si potrebbe andare incontro a un progressivo abbandono di tali territori.
Come già accaduto a causa del proliferare dei centri commerciali – che hanno prodotto l’effetto di un depauperamento della vendita nei centri storici con conseguente svuotamento di diverse botteghe negli stessi – la preoccupazione è quella che l’accesso facile e veloce a Catania trasformi – nella migliore delle ipotesi – i Comuni dei territori più interni in dormitori, se questi non saranno capaci di generare e rafforzare una nuova attrattività facendo leva sui propri caratteri peculiari.
Non una certezza, dunque, ma una eventualità non auspicabile, una preoccupazione, che può senza dubbio essere superata attraverso l’attuazione concreta di politiche pubbliche locali finalizzate allo sviluppo del sistema territoriale integrato e policentrico “Valle del Simeto”.
È bene, però, che questo non avvenga attraverso logiche competitive interne nonché tra la Valle e la Città Metropolitana, evitando che i Comuni facciano a gara tra loro per aggiudicarsi inutili primati (qui nessuno si salva da solo) nonché sfatando l’idea che essi possano imitare il polo metropolitano (Paternò non è e non può essere Catania). Occorre lavorare in un rapporto di complementarietà e reciprocità.
È auspicabile che il biglietto verso la Città di Catania vada fatto dagli abitanti della Valle del Simeto per andare e poi ritornare non solo a dormire nelle proprie case, ma a riscoprire tutto quello che Catania non ha da offrire. Al contempo, il biglietto per la Valle del Simeto potrà essere fatto da chi abita nel polo metropolitano e intende scoprire il legame tra la città e il territorio rurale, attraverso quel turismo di prossimità di cui tanto si è parlato nella fase pandemica, per accedere a luoghi dalla bassa densità, ancora costellati da sprazzi di naturalità, caratterizzati dalla lentezza, dal silenzio, dall’accesso ai prodotti (agricoli, artigianali, artistici, ecc.) capaci ancora di testimoniare un’operosità locale legata alla dimensione rurale.
Si tratta, per lo più, di caratteristiche assenti nel polo metropolitano affollato, altamente antropizzato, veloce, rumoroso, globalizzato e spesso standardizzato nei consumi.
Cosa possono scoprire dunque gli abitanti di Catania nella Valle del Simeto? Cosa devono riscoprire gli abitanti della Valle del Simeto stessa nel proprio territorio?
Innanzitutto un Fiume, 113 km tra i Nebrodi e il Golfo di Catania, tra Etna Patrimonio UNESCO, Erei e geositi; il fiume dal bacino idrografico più esteso della Sicilia (4186 km²), con 790 km2 di superficie territoriale ricadente tra 2 parchi regionali (Parco dell’Etna e Parco dei Nebrodi), 32 Siti di Interesse Comunitario e Zone di Protezione Speciale della Rete Natura 2000: un territorio costellato dalla presenza di aree archeologiche che testimoniano insediamenti di civiltà che dal Neolitico in poi si sono susseguite; il sistema dei ponti lungo esso (tra cui il Ponte dei Saraceni, uno dei ponti più belli d’Italia che congiunge Adrano a Centuripe), le torri che dominano la Valle e le permanenze normanne nei centri abitati (Motta S. Anastasia, Paternò, S. M. di Licodia, Adrano e Troina), la ex tratta ferroviaria Motta-Regalbuto (ex Ferrovia delle Arance), le salinelle, le forre laviche, altre peculiarità geomorfologiche, ecc.
Questo sistema di beni (naturali e culturali al contempo) costituisce una varietà di paesaggi che negli anni sono stati depauperati, ma che richiedono oggi una nuova centralità, attenzione e cura proprio per rappresentare opportunità diverse da quelle offerte dalla città.
Tali paesaggi non possono che essere cuciti da una fitta trama di tracciati e snodi che dovranno essere resi percorribili mediante diverse forme di mobilità lenta e sostenibile e un potenziamento del trasporto pubblico locale.
Lungo essi, le aziende agricole multifunzionali, le strutture per l’accoglienza diffusa, i luoghi del cibo sano e della filiera corta non possono che fare rete tra loro, per accogliere al meglio i potenziali visitatori che, con quel biglietto della Metro da Catania, potranno scoprire un territorio che avrà riscoperto sé stesso.
Come fare affinché tutto ciò avvenga? Come creare quelle sinergie tra Istituzioni pubbliche e attori territoriali necessarie per costruire un sistema realmente capace di essere complementare rispetto all’offerta del polo Metropolitano?
Gli strumenti ci sono. Negli anni è stato costituito il Patto di Fiume Simeto, una Convenzione tra Enti Locali, società civile organizzata nel Presidio Partecipativo del Patto di Fiume Simeto e Università di Catania. È nato poi un Biodistretto, un’alleanza tra produttori e consumatori intenzionati a praticare i principi dell’agroecologia. È recentemente stato inoltre proposto, alla Regione Siciliana, il riconoscimento dell’Ecomuseo del Simeto ai sensi della L.R. 16/14: si tratta di un importante strumento di sviluppo locale fondato su una rilettura della storia e riscoperta del patrimonio territoriale a opera, innanzitutto, di chi il territorio lo vive quotidianamente, finalizzato non solo alla promozione ma soprattutto alla cura degli ambienti di vita, alla valorizzazione della memoria per costruire futuro.
Cosa manca, dunque? Innanzitutto che gli amministratori credano fermamente nella potenzialità di questi strumenti messi in atto per iniziativa della società civile organizzata in collaborazione, ormai da diversi anni, con diversi ricercatori dell’Università di Catania che, praticando l’approccio della ricerca-azione, hanno creduto e credono tuttora fortemente nelle potenzialità di sviluppo dei territori della Valle.
Bisogna poi continuare a puntare in alto: i dispositivi sopracitati (Patto, Biodistretto, Ecomuseo) hanno già consentito il raggiungimento di diversi risultati, in termini di fondi europei intercettati nonché di notorietà della Valle del Simeto sulla scena nazionale e internazionale come buona pratica per lo sviluppo a base comunitaria.
Tuttavia, occorre adesso iniziare a dotare il territorio di ulteriori infrastrutture, al di là di quelle per la mobilità, che consentano di compiere un ulteriore passo in avanti e, soprattutto, di evitare quella desertificazione umana che già, nonostante alcuni segnali incoraggianti, continua ad avanzare e che potrebbe adesso addirittura accelerare per le ragioni sopra esposte. Occorre che il territorio inizi a dotarsi di quei presìdi capaci di generare innovazione sociale, ingaggio comunitario e di sostenere i processi di sviluppo nel lungo termine.
Chissà che l’idea di un centro di ricerca-azione per lo sviluppo integrato dei paesaggi rurali nella Valle del Simeto non possa rappresentare uno di quegli elementi complementari all’offerta data dalla Città di Catania, capace di far leva sui tratti distintivi di questo territorio, sostenendone la cura, la gestione condivisa, il miglioramento, con uno sguardo alla scena internazionale su cui negli anni il processo in atto ha pian piano suscitato interesse proprio grazie alla collaborazione con diverse istituzioni universitarie (Catania, ma non solo).
Un centro di eccellenza, fondato sull’approccio della ricerca-azione, potrebbe davvero rappresentare un punto di svolta e, di certo, far sì che il biglietto della Metro, da Catania alla Valle, si ritrovi a far da segnalibro per le letture di tutti quei giovani che intenderanno venire ad apprendere dalla straordinarietà di questo territorio.
Un’utopia? Forse. Quel che conta adesso è far sì che gli amministratori, prima di tutto, comincino a credere fermamente che un’altra Valle è possibile grazie all’attuazione di politiche pubbliche integrate finalizzate al sostegno di quanto loro stessi hanno immaginato sottoscrivendo nel 2015 il Patto di Fiume (oggi in fase di rinnovo) e sostenendo più recentemente la candidatura dell’Ecomuseo.
Non basta dunque fermarsi a festeggiare il completamento del tratto di Metropolitana FCE, bensì occorre leggere questa opportunità come slancio per continuare a costruire nuove traiettorie di sviluppo a partire da quanto di bello e sano qui è rimasto.
Diversamente, il biglietto della Metro sarà in mano a giovani che continueranno a fare le valigie per andare altrove, dalla Valle in direzione Catania e, in molti casi, fermata aeroporto.
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