Un recente servizio di REPORT di RAI 3 si è occupato delle tante anime che si agitano, in Sicilia ed in Italia, per raccogliere l’eredità della Democrazia Cristiana, che Mino Martinazzoli, ultimo segretario della Balena Bianca, nel gennaio 1994, dopo lo scandalo di Tangentopoli, ha in qualche modo messo in soffitta cambiandogli il nome con un ritorno all’originario Partito Popolare Italiano, ispirato e fondato da Don Luigi Sturzo.
Molti però, affezionati al modello della Democrazia Cristiana, ma anche al sistema di potere che ha rappresentato in Italia nel dopoguerra, hanno interpretato il cambio di nome come uno scioglimento, e nel tempo ne hanno rivendicato nome e simbolo. E’ quindi è iniziata una guerra infinita a colpi di carte bollate, cause, ricorsi, che di fatto ha generato solo una gran confusione ed una contrapposizione che nulla ha a che vedere con i veri valori che Don Luigi Sturzo avrebbe voluto incarnasse il suo progetto.
In Italia circa 120 associazioni si rifanno alla Democrazia Cristina, molte dal valore elettorale millesimale, altre con un certo seguito, come la Nuova Democrazia Cristiana di Totò Cuffaro, che in Sicilia sta raccogliendo, più che in ogni altra parte d’Italia, attenzione e consensi.
L’italiano medio, ed il siciliano in particolar modo, è indubbiamente moderato ed i valori centristi hanno rappresentato dal ’45 e per circa 50 anni, un modello. Ma al di là delle numerosissime associazioni di affezionati cultori dello scudo crociato, solo sei sono le vere e proprie “organizzazioni politiche”, più o meno strutturate, in lotta tra loro che si contendono la successione, confidando di attrarre a sé chi ancora è rimasto ancorato ai valori (o disvalori) della Democrazia Cristina.
I contendenti in campo, oltre che Totò Cuffaro e la NDC, di cui ci siamo già occupati recentemente con alcuni articoli e con una intervista al fondatore, sono Angelo Sandri, con la sua personale Democrazia Cristiana, che sembrerebbe voler candidare alle prossime europee, ammesso che abbia i numeri per presentare liste proprie, il gelataio fiancheggiatore dei Boss Graviano Salvatore Baiardo, Nino Luciani, Franco De Simoni, Giuseppe Alessi, con la loro personale Democrazia Cristiana, per finire a Gianfranco Rotondi che dopo una serie di battaglie legali col contendente principale Totò Cuffaro, dopo avere fondato la democrazia Cristiana per le autonomie, ha dovuto ripiegare ridotando e depositando alla Camera dei deputati, un nuovo simbolo per il suo partito/movimento, simil democristiano, di cui è segretario, presentando una Balena Bianca.
Ma ci sono anche altri ex democristiani, meno interessati a nome e simboli, ma più concreti, interessati alla poltrona ed alla propria collocazione che, abbandonata l’idea della Democrazia Cristiana come partito portatore dei valori del fondatore, si stanno organizzando per mantenere una collocazione ben pagata a spese dei contribuenti. Stiamo parlando di Lorenzo Cesa, con la sua UDC.
Pur senza consensi, e senza né ufficiali né soldati, il buon Cesa grazie a Matteo Salvini, leader di una Lega che negli anni ormai, tra piroette e abiure, ha cambiato più di una faccia, sta facendo nascere la componente Udc nel gruppo misto alla Camera.
Lorenzo Cesa, segretario centrista di una delle tante anime sopravvissute al diluvio Tangentopoli, uscirà infatti da “Noi moderati” dove si era temporaneamente accasato e grazie al Carroccio ed all’arrivo in soccorso dei Leghisti Antonino Minardo e Gianpiero Zinzi formeranno la nuova area centrista, con tanto di simbolo.
Sembra anche che i due (Salvini e Cesa), agli antipodi per storie e cultura politica, abbiano siglato un accordo. Che sempre in settimana diventerà il patto federativo Lega-Udc.
Il nuovo corso della Lega, Carroccio centrista, sta, però, facendo bollire di rabbia gli eletti al Nord, ma poco importa. Il vicepremier si gioca tutto alle Europee, e sa che non può andare sotto l’otto per cento delle ultime politiche. E soprattutto farsi superare da Forza Italia.
Ecco perché si è formata la strana coppia Salvini-Cesa. Coppia estremamente eterogenea che alle Europee non potrà che generale un cortocircuito. la Lega, infatti, in Europa, fa parte della famiglia della destra più estrema (Id), l’Udc da quando è nato ha entrambi i piedi nel Ppe.
In virtù di questo accordo in Sicilia, sembrerebbe, che i deputati dell’Ars dal Carroccio vadano verso l’Udc per permettere a Cesa di tornare a esporre il simbolo. E’ il caso di Vincenzo Figuccia . In effetti i deputati del carroccio siciliani si sono accorti ormai da tempo che l’effetto Capitano non tira più in termini di preferenze e che tra la spada di Alberto da Giussano e lo Scudo crociato, vecchio e rassicurante, gli elettori sceglierebbero il secondo.
Ma il patto romano benedetto dalla Sicilia da Figuccia, e quindi il Matteo Doroteo, passa anche dalla Calabria dove Durigon ha stretto la mano al partito centrista locale “Italia del meridione”.
Così come in Puglia dove l’uomo a metà fra Salvini e Cesa è Massimo Cassano, già sottosegretario e capo della segreteria politica dell’Udc.
Il tutto senza considerare il passo federativo, a metà, tra Salvini e Lombardo, osteggiato da Luca Sammartino, considerato che tra i due non corre buon sangue. Patto che non si capisce ancora se sarà un vantaggio o un autogol per il Matteo nazionale.
Comunque il dado è tratto ed il Salvini Doroteo è in campo per racimolare quanti più voti possibili in ogni anfratto per scongiurare l’ennesima mala figura che lo vedrebbe sempre più ai margini dell’attuale coalizione che sostiene il governo a trazione Giorgia Meloni.
Ne vedremo delle belle !!!!
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