Il dopo-Colle ha mostrato, ognuno per la propria quota parte, i limiti politici, l’inadeguatezza, di una classe dirigente, incapace a mediare: doti essenziali per riconquistare quel primato della politica rivendicato, che mostra oggi tutte le forze in campo senza fiato dopo la folle corsa di questi giorni.
La Meloni si è autocandidata a rifondatrice del centrodestra. Salvini propone una federazione alla repubblicana statunitense. Forza Italia è attratta dalla forza centripeta di Centro (PPE). Ma le ricette, di Meloni e Salvini, si frantumerebbero sulla legge elettorale proporzionale che tutti, o quasi, vorrebbero, dove il cartello unico di centrodestra non esisterebbe più.
Ma anche gli altri non stanno meglio. La guerra nel Movimento tra Conte e Di Maio fa supporre l’ennesima spaccatura del fu M5S. L’avvocato del popolo dice di Giggino «quello pensa solo alla sua poltrona» e l’ex bibitaro risponde che «quello è pericoloso», non è che ci sia altro da dire. Al Nazareno attendono di vedere come andrà a finire.
Pure all’interno del Pd tira una certa arietta non salubre, come ha messo a nudo l’affaire Belloni, che ha segnato nel partito la netta divaricazione tra i lettiani e gli ex renziani (renziani sempre). Basta notare la discrasia tra l’affermazione di Letta («il capo del Dis era formalmente compatibile con il ruolo di capo dello Stato») e la dichiarazione di Borghi, esponente della sua segreteria «L’Italia non è l’Egitto».
La politica nei prossimi mesi sarà sulle «Montagne russe». Pandemia, PNRR, Riforma della giustizia. Il tutto condito, a meno di un anno dalle elezioni, dalla discussione sulla legge elettorale, al tema delle liste, dove si potrebbero concretizzare le vendette, vista anche la riduzione dei seggi da quasi mille a seicento.
Terremoti che coinvolgerebbero i partiti e le (pseudo)coalizioni a partire dagli appuntamenti importanti delle elezioni amministrative di primavera e autunno, comprese le regionali siciliane, dove non c’è più una “certezza certa”.
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